Clausole contrattuali abusive, dall’Europa una vittoria per i consumatori

Dall’Europa arrivano buone notizie per i consumatori vessati da clausole contrattuali abusive. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha stabilito che se una clausola contrattuale viene dichiarata nulla a seguito di un ricorso collettivo promosso da un’associazione o organismo a tutela dei consumatori, la legge può prevedere che questa clausola non abbia effetti vincolanti su alcun consumatore che ha stipulato lo stesso contratto.

Il casus belli arriva dall’Ungheria, dove l’autorità nazionale per la tutela dei consumatori ha ricevuto numerose denunce di consumatori nei confronti di un operatore di telefonia fissa che aveva unilateralmente introdotto nelle condizioni generali dei contratti di abbonamento una clausola che le conferiva il diritto di fatturare a posteriori “spese di vaglia” ai clienti, ovvero costi applicati in caso di pagamento delle fatture attraverso vaglia postale. In più, le modalità di calcolo di tali spese di vaglia non erano state descritte nei contratti.

Ritenendo che la clausola fosse abusiva, l’autorità ha chiesto ai giudici ungheresi di accertarne la nullità e di ordinare il rimborso ai clienti delle somme indebitamente versate come “spese di vaglia”.

La Corte, chiamata in causa dal Tribunale ungherese, precisa in primo luogo, che la direttiva comunitaria obbliga gli Stati membri ad accordare la possibilità per persone o enti che abbiano un interesse legittimo a tutelare i consumatori di adire le autorità giudiziarie con un’azione inibitoria affinché queste accertino se clausole redatte per un uso generalizzato presentino un carattere abusivo e, all’occorrenza, ne vietino l’utilizzo.

Per far sì che si realizzi l’obiettivo dissuasivo delle azioni collettive, è necessario che le clausole dichiarate abusive nell’ambito dell’azione non vincolino né i consumatori che siano eventualmente parti nel procedimento né quelli che non lo siano, ma che abbiano stipulato con il professionista in questione un contratto al quale si applicano le medesime condizioni generali. La Corte sottolinea che azioni collettive dirette all’eliminazione delle clausole abusive possono essere promosse prima della loro utilizzazione in contratti.

Secondo la direttiva gli Stati membri sono tenuti a garantire che esistano mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’utilizzazione delle clausole abusive, e i giudici nazionali devono trarre d’ufficio tutte le conseguenze che derivano dall’accertamento della nullità, sicché la clausola abusiva non vincola i consumatori che abbiano stipulato un contratto contenente una tale clausola e al quale si applicano le medesime condizioni generali. Infine, la valutazione del carattere abusivo della clausola deve essere condotta dal giudice nazionale che dovrà verificare se, alla luce di tutte le clausole figuranti nel contratto e della legislazione nazionale applicabile, i motivi o le modalità di variazione delle spese collegate al servizio da prestare siano descritti in modo chiaro e comprensibile e se i consumatori dispongano della facoltà di porre termine al contratto.

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Troppi farmaci ai bambini, antibiotici in testa

Antibiotici, antiasmatici e corticosteroidi. Il 96% delle prescrizioni farmacologiche in età prescolare riguarda queste tre classi di farmaci. E’ quanto emerge dal Rapporto  “Arno bambini” realizzato dal CINECA (Consorzio interuniversitario Bologna), sui quali riflettono gli specialisti riuniti a Roma per il 68° Congresso Nazionale della Società Italiana di Pediatria. Il nostro è anche il Paese europeo dove maggiore è la prescrizione di antivirali: l’Acyclovir è tra i più prescritti e serve per il trattamento della varicella. Gli esperti considerano questa un’anomalia tutta italiana perché il farmaco in questione – sia pure molto efficace – non trova indicazione alcuna nel trattamento della varicella nei bambini che non soffrono di altre malattie. L’effetto del trattamento è minimo: se somministrato nelle prime 24 ore dalla comparsa del caratteristico rash della varicella, può tutt’al più attenuare lievemente i sintomi. L’acyclovir è indicato nei ragazzi e negli adulti non vaccinati (che soffrono di una forma più grave rispetto ai bambini) nonché nei soggetti con depressione del sistema immunitario (quelli ad esempio che soffrono di AIDS). E naturalmente l’Acyclovir non è privo di effetti collaterali.

58 bambini su 100 durante l’anno ricevono almeno un farmaco con notevoli differenze tra Nord (46%) e Sud (76%). Trattati soprattutto i maschietti sotto l’anno di età (69% contro il 65% femmine). Ad ogni bambino si prescrivono mediamente 2,7 confezioni di medicinali (senza contare i farmaci da automedicazione).

Spiega il Presidente della SIP Alberto G. Ugazio: “Le malattie infettive – e in particolare quelle causate dai batteri – sono enormemente diminuite di numero nel corso di questi ultimi cinquant’anni o poco più. Una sempre maggiore attenzione all’igiene personale e dell’ambiente e la diffusione crescente delle pratiche vaccinali sono state tra i fattori più importanti. Il dato di “ARNO bambini” è quindi particolarmente preoccupante. L’uso esteso di antibiotici è alla base delle resistenze batteriche che stanno letteralmente bruciando, uno a uno,  molti antibiotici sui quali un tempo potevamo far conto per il trattamento di un gran numero di malattie infettive. Oggi si rivelano spesso ‘armi spuntate’. I perché di questo uso esteso sono molto complessi. C’è anzitutto la cultura delle “raising expectations”, la convinzione diffusa che la medicina possa e debba risolvere immediatamente qualunque problema. C’è il fenomeno sempre più diffuso dell’automedicazione. E il pediatra è sottoposto a una “pressione prescrittiva” cui non è facile resistere. E pensare che nel piccolo bambino la grande maggioranza delle malattie infettive, soprattutto nelle prime età della vita, sono affezioni virali delle alte vie respiratorie!”

Dal Rapporto emerge un aumento dell’uso di antisecretivi (antiH2 e PPI), utilizzati nella pratica pediatrica  per i sintomi del reflusso gastroesofageo,  il cui incremento negli ultimi dieci anni è stato di oltre  2 volte e mezzo passando dal 2 al 6 per mille.  “Probabilmente gioca un ruolo l’ansia dei genitori esercitata sul curante,  visto che i sintomi della malattia da reflusso troverebbero una risoluzione spontanea  entro il  primo anno di vita”,  spiega Marisa De Rosa del CINECA. Nel caso dei bambini più grandicelli il ricorso agli antisecretivi sembrerebbe una scorciatoia rispetto a problemi che potrebbero trovare altre soluzioni.  “I disturbi  potrebbero essere infatti la  “spia” di un malessere legato anche a condizioni socio-ambientali nelle quali vive il bambino: ad esempio cattivi abitudini alimentari o bambini che somatizzano situazioni di stress vissute in famiglia o a scuola”, aggiunge De Rosa. 

Gli stili di vita frenetici sono molto probabilmente la causa dell’uso improprio di antidiarroici, in genere utilizzati per le infezioni intestinali,  frequenti in età prescolare, per cui basterebbero soluzioni reidratanti. Gli antidiarroici rispondono al bisogno delle famiglie di velocizzare il rientro del bambino al nido o alla materna.

Per ogni bambino si spendono in farmaci in media 36 euro l’anno contro i 39€ di 13 anni fa, grazie al maggior uso degli equivalenti che oggi coprono  il 42% della spesa  farmaceutica totale, con punte massime per gli antibiotici (77%).

In media un bambino costa al Servizio Sanitario Nazionale 260 euro l’anno, rispetto agli oltre 1.000 di un adulto. Un milione di bambini, all’incirca il 13% della popolazione totale, consuma il 2% della spesa sanitaria complessiva.

I ricoveri (ordinari o day hospital) interessano il 6,9% dei bambini e vanno diminuendo con l’aumentare dell’età. Le principali cause di ricovero sono complicazioni conseguenti a diarrea e vomito, bronchiti e broncopolmoniti.

“Purtroppo questi dati – conclude Ugazio– confermano i gravi problemi dell’attuale rete pediatrica: diarrea e vomito, bronchiti e la grande maggioranza delle broncopolmoniti (le cosiddette “polmoniti di comunità”) rappresentano ricoveri ospedalieri impropri. Al punto che molte regioni non rimborsano neppure il ricovero. Una rete territoriale più efficace, in grado di garantire continuità assistenziale, consentirebbe certamente di abbattere il numero di questi ricoveri. Oggi, i bambini che soffrono di queste malattie possono e debbono venir curati a casa.”

La diagnosi più costosa è quella legata al ricovero per prematurità e basso peso alla nascita (spesa media a ricoverato 5.620 euro). Il 16% dei bambini ha avuto più di un ricovero all’anno, di questi l’11% dovuto a ricoveri per trattamenti oncologici. Riguardo le prestazioni specialistiche, il 57% dei bambini ne effettua almeno una durante l’anno. In testa le visite specialistiche (42,8%) con un picco nei più piccini sotto i 12 mesi, seguono gli esami di laboratorio (22,4%) e le radiografie soprattutto per problemi dentali e traumatismi.